Prima ancora di aver finito di parlare già stava ciabattando con i suoi rozzi sandali in direzione della porta. Appena giunto all'uscio chiuso si mise a battere insistentemente con il pugno sulle tavole di legno robusto strillando: «Fratello! Ehi, fratello! Su, presto, apri! Facci uscire di qui!».
Pochi istanti dopo si udì l'inconfondibile rumore di una chiave girata nella toppa e ben presto l'uscio si aprì. «Che fretta...», brontolò una voce stizzosa dall'altra parte.
«Tu non sai cosa è successo qui dentro, fratello! Poteva ucciderci tutti! Quel PAZZO!», squittì il monaco. «Ah, ma domani mattina, subito dopo le lodi mattutine, parlerò con Padre Brom e gli chiederò di spedire quel PAZZO nella cella più profonda che abbiamo nel monastero!».
«Fa' come ti pare», replicò freddo l'altro monaco. «Ma ricorda che il tizio è compito tuo fino all'alba di domani: io non voglio saperne niente!».
«Ah...», fece il monaco, deluso. «Quindi tu non...».
«Non se ne parla nemmeno!».
«E sia...», concesse di malavoglia il monaco. «Ma tanto è legato come un salame: vuol dire che gli farò la guardia stando su una sedia, qui fuori, ma dentro con lui no, manco morto! Ma mi ricorderò che non hai voluto aiutarmi, FRATELLO...».
«Ecchissenefrega... FRATELLO...».
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