martedì 3 maggio 2016

HAZA - 15/08 - LISTA 03

Haza era cambiato molto, nell'ultimo mese.
Non fisicamente, certo.
Era ancora basso, più della media dei suoi pari razza. Portava ancora baffi e barba folti e lunghi alla maniera dei nani, ed erano ancora neri e conditi da radi peli bianchi, sebbene fossero in maggior numero rispetto a quando aveva abbandonato il suo antico ruolo, e aveva preso la via dell'avventuriero, molto tempo prima. Come se l'esperienza avesse sparso un po' di sale fra i carboni dei suoi peli neri.

La pelle era ancora abbronzata, nonostante tutto, ed ora era più facile constatare che il colorito non fosse solo del viso. Nell'ultimo mese aveva preso l'abitudine di bivaccare in locanda, indossando solo calzoni e stivali, a torso nudo, e probabilmente la sua pelle scura non ricordava nemmeno cosa fosse il calore del sole. Qualche lieve, antica cicatrice, insieme ad altre più profonde e più fresche, testimoniavano tante piccole scaramucce e qualche epico scontro.

Il tatuaggio sul suo petto i compagni con cui aveva vissuto tante traversie, nelle vicende appena concluse, non l'avevano mai visto, ma ora era impossibile non notarlo: l'immagine di un martello ed uno scalpello si incrociavano ad X all'altezza dello sterno, sovrapponendosi nello stesso punto ad una ascia bipenne in verticale con la parte delle due lame a circondare l'ombelico, come una sorta di mezza cintura. Un tatuaggio complesso, elaborato, gotico, del quale  tuttavia non aveva dato alcuna spiegazione. Forse nessuno gliel'aveva chiesto, forse nessuno che l'avesse fatto era stato ascoltato... oppure era tra quelli la cui schiena aveva assaggiato la robustezza di uno degli scranni del locale.

Di fatto chi gli avesse chiesto un abbigliamento più decoroso sarebbe finito a gambe all'aria. Tuttavia, poiché pagava i suoi conti, ed anche gli eventuali danni al mobilio, l'oste aveva preso a tollerarlo, ed una camera ospitava le sue 'spoglie' da guerriero, le sue armi, la sua tunica da allenamento, ogni suo avere. Occasionalmente la stanza ospitava anche il suo corpo, per le poche ore di sonno con cui intervallava un paio di giornate di bevute dalle successive.

Tutti sapevano che non aveva più con sé la spada nera, quella trattenuta per sé dopo che il demone suo proprietario era stato sconfitto. La gran parte di loro, ed uno in particolare, avrebbe detto che sarebbe stato un bene per Haza, poiché quella spada rendeva nero anche il suo animo. Di fatti avevano ragione, il suo animo ora non era più unto da quell'arma, ma difficilmente chi si era preoccupato per lui avrebbe avuto modo di cogliere quel miglioramento, nell'eremita che era diventato.

La verità era che Haza aveva avuto la sua vendetta, quando il lich era stato sconfitto. Una vendetta a lungo cercata, e troppo spesso sfuggita, verso coloro che avevano trucidato tre generazioni di suoi familiari mentre lui seguiva le vie della fede in Tarastia. L'aveva detto ai suoi compagni, che quella vittoria gli levava un peso dal cuore. Quel che non si era aspettato, era di sentire un peso ancora più grande prenderne il posto. Un peso che era un vuoto, e che la birra tracannata non riusciva a riempire, né ad alleggerire. Una birra ogni ora, quasi con metodo, con caparbietà. Trangugiata in un sorso di pochi secondi, e poi l'attesa della prossima osservando la schiuma scendere lungo il boccale, e scomparire nel nulla, bollicina dopo bollicina.

I compagni avevano preso l'abitudine di sedersi al suo stesso tavolo, quando al mattino si ritrovavano in locanda per la colazione, giacché ce n'era sempre uno occupato da Haza, col suo boccale schiumato e vuoto davanti, che li salutava senza fiatare e quasi senza guardarli. D'altra parte, non era certo ubriaco, non sragionava, ascoltava i discorsi degli altri avidamente, forse cercando nelle loro parole altri modi di riempire quel vuoto che lo immobilizzava.

La sera in cui giunsero il Conte ed il suo valletto, per Haza non era che una delle altre. Non guardò nessuno dei due, ma ascoltò avidamente le loro parole. Ebbe un sussulto quando fu fatto cenno ai demoni, ma era impossibile dire cosa questo significasse. Certo chi lo conosceva poteva associare la reazione alla spada nera, ma non avrebbe saputo dire se era nostalgia, paura, oppure altro.
Le reazioni di Ghino e degli altri all'invito del Conte non lo turbarono. Le ascoltò, sempre avido, e basta. In cuor suo aveva già deciso... sarebbe andato, anche da solo.

Rimase ad ascoltare indecifrabile.

Finché non fu pronunciata quella parola, e poi quel nome.

Allora si alzò in piedi, e la sedia per il contraccolpo finì sdraiata per terra. Non ci fosse stato il tavolo fra loro, il chierico che l'aveva pronunciata si sarebbe ritrovato di certo qualche dente in meno, per un manrovescio. Invece, la mano di Haza andò a stringere il boccale vuoto, con una veemenza che dava l'impressione di voler schiantare il boccale stesso.
"Non pronunciare mai più la Giustizia ed il nome del tuo dio nella stessa frase... e nemmeno nella stessa giornata, quando sei davanti a me, chierico!"
Haza aveva perfettamente inteso il nome dell'uomo, ma pronunciò invece il suo ruolo caricando il termine di tutto il disprezzo che era in grado di esprimere.
Poi sbuffò, come sgonfiando la rabbia, e tornò a sedersi, mollando il boccale.
"E' solo un consiglio." aggiunse, il tono già più quieto.
Non era certo colpa di quel chierico se gli Dei sono falsi e bugiardi.

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NDG:
eccomi, riesco a iniziare anch'io.
'Benritrovati' e 'benvenuti' sparsi a chi di competenza!
:-)

NDG2:
l'effetto del tatuaggio di Haza da lontano somiglia alla nostra croce
di Sant'Andrea piantata su una fascia piatta.

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