mercoledì 2 novembre 2016

DUNGEON MASTER - 16/08 - LISTA 03

[NdG] A breve farò sorgere il sole sul nuovo giorno - è ora di partire, no? - quindi comincio con l'agitare un po' le acque...

[GdR]

Era sera inoltrata. L'uomo stava disteso sul pagliericcio nella sua cella, scalzo e vestito solo di una tonaca grigia da monaco. Non era da molto che ci stava, appena dalla sera precedente, ma in quelle ore non aveva visto né parlato con nessuno e si sentiva terribilmente solo e smarrito. Non riusciva a capacitarsi del perché fosse stato sbattuto in quella cella, soprattutto perché era ben certo di non avere alcuna colpa: aveva meditato e pregato, poi ancora meditato ed ancora pregato, ma non era venuto a capo di niente.

La luce del giorno se ne era andata ormai da qualche tempo e la cella era nella completa oscurità, ma lui non riusciva a prendere sonno: troppi pensieri, troppi dubbi, troppi timori gli si affollavano nella mente e quindi se ne stava così, disteso e passivo, con gli occhi sbarrati nel buio.

Ad un tratto udì il suono di una chiave girata nella serratura della porta della cella, poi il rumore secco del chiavistello che veniva tirato. Poi più nulla. Rimase in attesa per qualche tempo, perplesso, poi si decise ad alzarsi ed a tastoni andare a controllare cosa fosse accaduto alla porta. La trovò aperta: gli bastò tirare leggermente e l'uscio si aprì, rivelando all'esterno una lanterna accesa posata sul pavimento ed un mazzo di chiavi ancora infilato nella toppa.

"Forse qualcuno ancora mi vuol bene", pensò. "Oppure mi vuol male e spera che evadendo mi metta nelle condizioni di venire ucciso a vista". Non era da lui però lasciare qualcosa di intentato quando sapeva di essere nel giusto e quindi senza troppe esitazioni si inoltrò nel corridoio.

Conosceva quella parte di edificio: a suo tempo più di una volta era stato comandato di guardia alle celle. Si inoltrò cautamente ma senza perdere tempo fino all'inferriata che bloccava l'estremità del corridoio. Come sapeva bene, lì sulla sua sinistra si trovava la stanza delle guardie: cautamente sbirciò dentro e, sì, in effetti lì dentro c'erano tre allievi in divisa seduti attorno ad un tavolo; contrariamente alle regole, però, parevano interessati solamente alle carte da gioco che stavano rapidamente girando di mano in mano. Con un paio di rapidi passi il prigioniero oltrepassò la luce della porta e raggiunse l'inferriata: mormorando una preghiera provò le chiavi del mazzo e senza troppo stupore trovò che fra quelle c'era anche la chiave giusta. Cercando di fare il minimo rumore possibile aprì l'inferriata, la oltrepassò e poi se la richiuse alle spalle.

Restava da decidere da che parte uscire: dopo una breve riflessione l'evaso concluse che la via migliore sarebbe stata attraverso il tempio, sfruttando la porticina che veniva sempre tenuta aperta, anche di notte, a beneficio di eventuali penitenti; l'unico problema sarebbe stato eludere la guardia che di notte sorvegliava quell'accesso. Orientandosi con la sicurezza di chi conosceva quell'edificio come le proprie tasche l'uomo si diresse verso la porta che dava accesso al tempio: senza troppo stupore nuovamente constatò come la chiave giusta fosse fra quelle contenute nel mazzo, quindi aprì la porta, la varcò e la richiuse a chiave alle sue spalle.

Si ritrovò in un vestibolo che divideva il tempio dal resto dell'edificio ed il cui scopo era di sala d'attesa per chi avesse chiesto udienza passando da quella parte; a questo scopo il solo arredo del locale erano due lunghe panche, una per parte, intese per alleviare l'attesa dei visitatori. Su una di queste panche trovò una pila di vestiti accuratamente ripiegati, un paio di stivali, un cappello a larga tesa ed una spada corta: mentre si affrettava ad indossarli non poté fare a meno di chiedersi chi potesse essersi preso tanta briga per aiutarlo, ma la risposta giunse rapidamente: nascosto fra le pieghe degli indumenti trovò un foglietto che portava scritto: "chi è innocente non dovrebbe languire in una cella", seguito dal nome di un luogo che egli conosceva.

Non appena rivestito a dovere, l'uomo passò nel tempio e cautamente si diresse verso la porta esterna: giunto nei suoi pressi scorse l'uomo di guardia intento ad osservare con estrema attenzione una delle opere d'arte più insignificanti fra quelle contenute in quel luogo sacro. L'evaso riconobbe facilmente quell'amante dell'arte: se quella degna persona era fra i suoi misteriosi benefattori, allora egli non aveva da temere alcuna trappola: rinfrancato, si affrettò ad uscire in strada e dileguarsi nella notte.

Raggiungere il luogo indicato non gli richiese molto tempo. Quando fu là vide la sagoma di un uomo armato appoggiata ad una porta: costui, nel vederlo apparire, fece un vago cenno di saluto e senza una parola si affrettò ad allontanarsi nella notte. L'evaso raggiunse quella porta, la aprì e non poté trattenere un sorriso compiaciuto: era bello sapere di avere dei veri amici, disposti a mettersi in gioco per raddrizzare quello che evidentemente giudicavano un torto.

Era bello anche incontrare un amico proprio in quella stanza: «Faran, vecchio mio», disse l'evaso avvicinandosi al suo cavallo ed accarezzandolo sul collo, «a quanto pare una nuova vita ci si apre dinnanzi». A mo' di saluto l'animale fece un breve nitrito e scalpitò sulla paglia, poi urtò gentilmente con il muso il fianco dell'uomo.

L'evaso si guardò attorno alla ricerca della sella e dei finimenti dell'animale e fu con vero compiacimento che accanto ad essi trovò disposto in bell'ordine il suo equipaggiamento completo e due grosse bisacce da sella piene di tutto ciò che avrebbe potuto servirgli.

All'alba del giorno seguente, pochi istanti dopo che le guardie cittadine ebbero aperto le porte sulla Strada del Duca, un cavaliere in armatura completa ma priva di insegne ed in sella ad un grande destriero da guerra si presentò alla pusterla e la oltrepassò al passo, rispondendo con un cenno della mano guantata di ferro al saluto rispettoso degli armigeri ed allontanandosi lungo la strada.

Pochi minuti dopo anche un gruppetto d'uomini dall'aria poco raccomandabile varcò la stessa porta a cavallo di un assortimento di ronzini, accompagnato dallo sguardo sospettoso delle guardie. «Tipi così», commentò uno di loro, «mi piace di più vederli uscire piuttosto che vederli entrare in città».

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